Visita guidata alla mostra di Bill Viola

Sabato 27 maggio, ore 11.30, Palazzo Reale, Milano
Visita guidata alla mostra dedicata al videoartista Bill Viola

Quota iscrizione: 15,00 euro
comprensivi di biglietto di ingresso (13,00 euro + 2,00 euro di prenotazione) e visita guidata a cura dell’associazione Arthemisia (costo guida a carico della Biblioteca)
Numero max di partecipanti: 24
Iscrizioni e versamento quota: entro lunedì 8 maggio alle ore 17.00
Referente Biblioteca per iscrizioni (da contattare) : Marco Palazzini  mpalazzini@comune.colognomonzese.mi.it 


                                                                                                                                                                      

Quindici capolavori di Bill Viola sono in mostra a Palazzo Reale, a Milano, in una mostra curata da Kira Perov, che omaggia il maestro indiscusso della videoarte. Il percorso espositivo, in aperto dialogo con lo spazio, racconta le esperienze umane universali, dalla nascita alla morte passando per lo sviluppo della coscienza e la conoscenza di sé in un viaggio pieno di emozioni e spiritualità. Fortemente simboliche e ispirate all’iconologia classica e al rapporto tra uomo e natura, le opere hanno come protagonisti persone, corpi e volti interagenti con quattro elementi propri della natura: l’acqua e il fuoco – simbolici per il passaggio dalla vita alla morte – la luce e il buio.Bill Viola, Ocean Without a Shore, 2007. Video/sound installation. Color high-definition video triptych, two 65-in. flat panel screens, one 103-in. screen mounted vertically on architectural elements on three walls; six loudspeakers (three pairs, stereo sound).

È significativa, e non casuale, la scelta del termine viaggio. Per Viola l’esperienza del viaggio è fondamentale in termini di spunto dalle realtà con cui, ogni volta, si incontra. Con questo sguardo possiamo riconoscere le tradizioni spirituali del Buddhismo Zen, del Sufismo Islamico e del Misticismo Cristiano che animano le sue opere. Ed è, in questa prospettiva, che il periodo fiorentino assume una valenza semantica ancora più significativa: a Firenze, infatti, Bill Viola ha incontrato l’arte rinascimentale. Dallo studio dell’immaginario medievale, rinascimentale e manierista, in dialogo con pale d’altare, polittici e dipinti votivi, Viola ha sviluppato una composizione dell’immagine che si concretizza nella costruzione di elaborate scene teatrali ispirate alla tradizione storico-artistica occidentale e cinematografica, con ambientazioni, attori, scenografie, disegno luci, fotografia, oltre che un regista. La mostra offre concretamente un percorso in cui ritrovarsi. Chi a contemplare questioni profonde, che Viola esplora con immagine al rallentatore, chi a ricongiungersi con l’io più profondo, chi a non aver paura di chiedersi come sarà, liberando passioni ed emozioni e concedendosi la possibilità di riflettere sulla vita e sui legami che le danno significato. Senza avere paura, senza malinconie, solo immergendosi in un mondo che è altro rispetto a quello frenetico da cui proveniamo, così che la distanza lasci posto all’unione.

Il viaggio inizia con l’opera The Quintet of the Silent (2000), in cui un gruppo di cinque uomini vive, sperimentandone l’intensa energia crescente, un’ondata di intensa emozione. Lo slow motion che utilizza Viola rende visibili le sottili sfumature di espressione, creando uno spazio soggettivo e psicologico in cui il tempo è sospeso sia per gli artisti che per gli spettatori. Nella stessa sala il polittico Four Hands (2001) mostra le mani di un ragazzo, una donna e un uomo di mezza età e un’anziana mentre gesticolano lentamente e deliberatamente. I loro gesti, predeterminati, sono influenzati da una varietà di fonti, dai mudra buddisti alle tavole di chirologia inglese del XVII secolo. Sineddochicamente le loro mani rappresentano tre generazioni, dunque descrivono una linea temporale che comprende sia le azioni parallele degli individui nel momento presente sia i movimenti più ampi delle fasi della vita umana.

Proseguendo l’opera Emergence (2002) si ispira all’affresco di Masolino da Panicale, Pièta (1424), raffigurante il Cristo che risorge dal sepolcro, assistito dalla Madonna e da San Giovanni. Nell’opera di Viola un giovane si erge da una cisterna traboccante d’acqua, simbolo in questo caso di vita e morte, di annegamento e rinascita. È ancora attraverso l’acqua che Ocean Without a Shore (2007) ci parla della presenza dei morti nelle nostre vite. Tre schermi, disposti ognuno su un altare, sono portali per il passaggio dei morti da e verso il nostro mondo. Ibn Al’Arabi (1165 – 1240) sosteneva che «Il sé è un oceano senza riva. Guardarlo non ha inizio né fine, in questo mondo e nell’altro»: così il trittico presenta una serie di incontri, al limite tra la vita e la morte, di individui che si avvicinano lentamente dall’oscurità e si muovono verso la luce.

Si procede con The Veiling (1995) in cui le le immagini di un uomo e di una donna non coesistono mai nel medesimo fotogramma video ma la luce, delle loro immagini proiettate, si mescola sui tessuti rivelandone la presenza come una forma tridimensionale che attraversa e riempie lo spazio. Subito dopo la stanza è di The Raft (2004), dove un gruppo di persone provenienti da diversi background etnici e sociali viene improvvisamente colpito da un massiccio assalto d’acqua da un tubo ad alta pressione. Alcuni vengono immediatamente travolti e altri si preparano contro il diluvio. L’acqua vola ovunque, abiti e corpi vengono presi a pugni, volti e arti si contorcono. Poi, improvvisamente come è arrivata, l’acqua si ferma, lasciando dietro di sé un gruppo di individui sofferenti e disorientati.

L’acqua, insieme al fuoco, all’aria e alla terra, è protagonista anche della serie Martyrs (2014). Gli elementi naturali sono impersonificati da quattro diverse persone, immobili, che vengono sovrastate dall’elemento di riferimento. Martire, che deriva dal greco, significa testimone: per Viola queste figure umane, attraverso le quali viene rappresentata l’accettazione della morte, sono emblema degli ideali d’azione, di forza d’animo, di perseveranza, di resistenza di sacrificio e testimoni dei valori fondamentali della nostra cultura e – dunque – sempre più delle sofferenze altrui. Le vite dei martiri, che possono contribuire a fare luce sull’inerzia della vita moderna, esemplificano la capacità dell’essere umano di sopportare la sofferenza, le difficoltà e perfino la morte pur di restare fedele a ciò in cui crede.

A seguire Man Searching for Immortality/Woman Searching for Eternity (2013) ci mostra, in due fotogrammi separati, un uomo e una donna nudi mentre sembrano emergere dalla pietra e camminare verso di noi. Ci guardano, con lucidità e consapevolezza, e al contempo si guardano, accendendo ognuno una piccola luce, per cercare – con rituale quotidiano – tracce di malattia, corruzione o di morte nel proprio corpo. Nella penultima sala Fire Woman (2005) è un’immagine vista con gli occhi della mente di un uomo che sta morendo. Si tratta di una sagoma scura di una figura femminile, stagliata davanti a un muro di fiamme, poi avanzante, prima di cadere nella sua immagine riflessa. L’Ascensione di Tristan (The Sound of a Mountain Under a Waterfall) descrive invece l’ascesa dell’anima nello spazio dopo la morte mentre viene risvegliata e trascinata in una cascata che scorre all’indietro spingendo il corpo inerte di un uomo e presto lo riporta in vita fino a sollevarsi e scomparire.

Il percorso espositivo si conclude nella stessa sala in cui inizia. In The Greeting (1995), ispirata a La Visitazione del Pontormo, due donne, parlano vestite con abiti del ‘500 come nel dipinto originale, parlano prima di essere interrotte da una terza donna che entra nella scena abbracciando e salutando. Le azioni e le intenzioni non sono comprensibili e non si palesano, ma permangono in una dimensione di ambiguità. Catherine’s Room (2001) invece è una vista privata nella stanza di una donna solitaria che svolge una serie di riti quotidiani dalla mattina alla sera. Le sue azioni, semplici e mirate, appaiono simultaneamente in un diverso momento della giornata: mattina, pomeriggio, tramonto, sera e notte. Una piccola finestra nel muro rivela una visione del mondo esterno dove sono visibili i rami di un albero. In ogni pannello l’albero è rappresentato nelle fasi successive del suo ciclo annuale, dalla fioritura primaverile ai rami spogli. Il mondo fuori dalla finestra rappresenta un altro strato di tempo, trasformando la scena da una registrazione di un giorno nella visione più ampia di una vita legata ai cicli della natura.

L’inizio e la fine, dunque. Dove entrambi sono immagini di se stessi e, reciprocamente, dell’altro. Come osserva Kira Perov: «Il tempo è malleabile nelle mani di Bill Viola, dove ogni dettaglio del movimento e dell’espressione del viso e del corpo è visibile, dove un momento diventa eternità». E aveva ragione, allora, Federico Fellini a dire che: «Non c’è fine. Non c’è inizio. C’è solo l’infinita passione per la vita

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